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CLXXVI

In morte di Francesco Colombo, detto «Platone». ( 1553 )

Stella gentil, ch’a la tua stella unita
lei vagheggi e te stessa e l’altre erranti,
fossi cielo io, ché con tanti occhi e tanti
vedrei la chiara tua luce infinita.

Eri fra noi la stella alma e gradita
eh’in oriente al sol fiammeggia innanti;
espero or sei, ch’i tuoi bei raggi santi
nascondi a questa e scopri a l’altra vita.

O divin Plato, io non mille occhi e mille
chieggio, ma d’esser talpa, acciò non miri
la fiera stella che m’è data in sorte;

la quale, o poggi in alto o in basso giri,
par eh’ irata ver’ me sempre sfaville,
quasi nuovo Orione, e guerra e morte.

CLXXVII


Nell’occasione medesima.

Spirto d’alto saper, in cielo accolto,
venuto alfin de l’onorata sete,
ch’or fai di te Palme felici e liete,
come noi gir con tenebroso volto,

mentre quanto esser può libero e sciolto,
men ch’altri avvinto ne l’umana rete,
da quel disio che ti nasconde a Lete,
sovra te stesso alzato, fosti avvolto,
gli ordini, il moto e i naturali effetti
giusta cagione onde ogni alma t’onora,
si reser chiari al nobile intelletto.

Or godi in cielo, a piú bel stato eletto;
ché, felice, fruir ti lice ognora
de l’immobil Motor gli alti concetti.