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CLXXIV

In lode di Giulio terzo. (aprile 1553)

Febo in un tempo e ’l gran Giove terreno,
le chiare fronti con amor converse,
l’uno il bel mese e l’altro il grembo aperse
di rose quel, questo di grazie pieno.

Donna, cui di Saturno empio veneno
ogni vigor, ogni splendore sperse,
quel di riscosse l’alma e ricoperse
di ricco lembo il nudo fianco e ’l seno;

e, posti al carro i fieri augei che sola
Nemesi frena e, Cornio al crine avvinta,
cosi cantando in ogni parte vola:

— Era la vita e la mia gloria estinta;
il divo Giulio a due morti m’invola;
tal opra, Augusto, ogni tua lode ha vinta.

CLXXV


Al cardinale Fulvio della Cornia
per la reintegrazione dei maestrati in Perugia.

(aprile 1553)

Vero pastor, che con veloce corso,
pronto a poner ancor l’istessa vita,
porgesti dianzi al tuo buon gregge aita
ch’era per téma in cieco error trascorso,
or lieto pasce (grado al pio soccorso)
nel sacro monte u’ l’erba è piú fiorita,
e per te s’orna, ogni viltá sbandita,
giá di lucido vello il fianco e ’l dorso,
e sotto l’ombra si riposa e dorme
de l’alma pianta, i cui nodosi rami
paventa e fugge ogni feroce belva.

Poi che segui ’l gran zio per si belTorme,
dopo lui Pietro a l’ovil suo ti chiami
e rimbombi ’l tuo nome in ogni selva.