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LXXXVIII
Compianto funebre.
ARGESTO
Con veloci pensier, con passi lenti
al sacro sasso io torno:
vien meco, Clita, a rinnovare il pianto
funesto e grave e ritentar piú d’una
volta l’ingegno per alzar quell’ossa
ove è salita l’alma e dove regna
cinta d’eterno onore.
CLITA
Al comun danno, al dolor nostro intenti,
piangiam sotto quest’orno,
ché non lice appressar quel tumul santo,
Argesto mio, si spesso, ove s’aduna
tra le ninfe Minerva a pianger mossa;
e fu sentita un di, benché non vegna
questo segreto fuore.
ARGESTO
Ogni arbore è nimico ai miei lamenti,
che sia di foglie adorno,
fuor che il cipresso : e ben conviensi tanto
cotesto e gli altri odiar, poiché fortuna
col suo furor da le radici ha scossa
quella gradita pianta, unica insegna
al gemino valore.
CLITA
Benché de la stagion non mi rammenti,
mi ricordo eh’ intorno
al troncon rotto si rivolse il canto
in mesto lutto, e vidi in veste bruna
le Muse, e dir:«Se’l fulmine ha percossa
questa fiorita cima, ove disegna
far piú suo nido Amore?»