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LXXIX

Il «fato di Coridone» ( l )

Mentre del Tebro in su la destra riva,
tra rose e fiori, il di sesto di maggio,
le reti Amor d’un bel crin d’oro ordiva,
che pur quel giorno tolse a Febo ’l raggio,
l’empio suo fato a Coridone apriva
ninfa gentil ; ma Coridon, mal saggio,
aveva ’l cor giá disviato altronde
e solo udiva ’l mormorar de Tonde.
2
— Mal si mira — dicea — per te si fiso
il vago Alessi, o meschinello amante:
d’angelo il crine e le parole e ’l viso,
ma il cor di tigre e ’l petto ha di diamante;
sotto quel dolce e mansueto riso
quanti son lacci, oh quante fiamme, oh quante!
e i sereni occhi, dove Amore alloggia,
giá promettono ai tuoi continua pioggia.
3
Giá veggio ogni pensiero, ogni tua voglia,
quantunque onesta, virtuosa e bella,
chiamar da lui, che libertá ti spoglia,
brutta, lasciva e di virtú rubella;
veggio che non ti reca altro che doglia,
che amore e servitute inganno appella,
che l’ostinato cor via piú s’indura
quanto è piú chiara la tua fede e pura.

( 1 ) Dei personaggi ricordati in questo componimento, Coridone, si sa, è il Coppetta; Dolone è Agnolo Felice Mansueti; Montano è Pellino Pellini; Datnone è Lodovico Sensi; Giugno è Giambattista Giugni; Opico è Agapito de Magistris; Aminta
è Ercole della I’eccia (?); Caracciolo è Annibaie Caracciolo; Elpino è Giambattista
Lancellotti; Lauso è Muzio Passamonti [Ed.].