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LXXVII


Fallace sogno.

Di diamante era il muro e d’oro il tetto
e le finestre un bel zaffiro apria
e l’uscio avorio onde il mio sogno liscia
che de l’alto edificio era architetto.

Da si ricco lavoro e si perfetto
pareva uscisse angelica armonia,
e si strana dolcezza il cor sentia,
che i sensi ne fúr ebbri e l’intelletto.

Ruppesi alfine il lungo sonno. Oh quanto
la cieca notte il veder nostro appanna!

Perché sul giorno, aprendo gli occhi alquanto,
era l’altier palazzo umil capanna,
strido importun d’augei notturni il canto*
e l’oro paglia e le gemme alga e canna.

LXXVIII


Tutto un vano sogno il suo.

O di quattr’anni leteo sogno adorno
di false larve, u’ sono i bei costumi
che mi mostrasti e d’eloquenza i fiumi?
u’ il bel volto, d’Amor nido e soggiorno?

Or ch’io son desto e luce in alto il giorno,
altro non veggio che vane ombre e fumi ;
le rose e i gigli sono ortiche e dumi;
solo il tuo inganno è vero e ’l nostro scorno.

Misero me che tardi gli occhi apersi!
cosi gli avessi allor chiusi per sempre
che nel dolce velen bagnai le labbia !

ché sarei fuor di si strani e diversi
pensieri: ond’io rinfresco al petto sempre
penitenza, dolor, vergogna e rabbia.