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LXXI

Ad Annibale Caracciolo.
Gli sia intercessore benigno.

Caracciol mio, se l’amorosa chiave
del laberinto che ’l cuor vostro intrica,
fosse a la mano ond’io vi scrivo amica,
per voi si volgerla dolce e soave;

ma fortuna che ciò dato non m’have,
dá in poter vostro (convien pur che ’l dica)
l’altra che m’apre la prigione antica
ed in career mi chiude assai men grave.

Fate dunque per me quel ch’io vorrei
per voi potere, ed appo voi mi vaglia
il desio di giovarvi in vece d’opre;

se de’ passati gravi affanni miei
tanto vi dolse, or del mio ben vi caglia,
poi che ’l mio petto ogni pensier vi scopre.

LXX1I

Venere vendichi in lui quella cruda durezza.

A piè d’un tronco, le cui foglie dianzi
sotto falsa amicizia edera ancise,

Coridon pianse e col suo pianto mise
pietá nel gregge che gli errava innanzi:

ma piú d’altro animai che in selva stanzi
Alessi fiero al suo dolor sorrise,
e quasi pietra incontro a lui s’assise,
pietra che ’l marmo di durezza avanzi.

Ond’egli, alzando gli umidi occhi in alto:

— O dea, quest’alma di pietá rubella
provi ’l mal ch’altrui dá, sotto il tuo regno ;

non sia creduta ed ami un cor di smalto. —
Ai giusti preghi l’amorosa stella
sfavillando mostrò vendetta e sdegno.