Pagina:Guidiccioni, Giovanni – Rime, 1912 – BEIC 1850335.djvu/145

Io, se ben false van le poste mie,
come giá me n’è gito piú d’un paio,
torno e non faccio tante dicerie;

né cerco d’esser vostro segretaio,
ben che d’essere a me non si conviene
de la man ch’adoprate l’arcolaio;

e, se non ho di scudi le man piene,
pur n’ho qualcuno, e non è brutto gioco
di star, come ch’io sto, tra’l male e’l bene.

Non mi vanto aver molto almen, s’ho poco,
come fa certa gente ardita e prava,
da chi guardar si de’ come dal foco;

né mi vanto esser duca de la Fava
né conte di Treville o cavaliero
d’Alcantara, San Iago o Calatrava;

uomin ch’alfin, com’io, danno in un zero,
ma per tanti lor vanti degni solo
di farne pavimento a un cimitero.

Or giuro a la sorella di ser Polo
e dico che, s’è ver quel ch’io ragiono,
io son senza passione un buon figliuolo;

e s’io son tale, come in vero io sono,
non dovete a’ sberleffi di nessuno
stare a rider di me, ché non par buono;

e se ’l volete far, fatei d’ognuno,
ch’anch’io farò sberleffi a certi amici,
pur che la parte sua si dia a ciascuno.

Ma voi, che sin del ventre in le radici
siete gentil, non fate questi errori,
ch’assai sol per amor siamo infelici;

non dovete adempir d’altrui gli umori
con vostro biasmo e far che paian vane
molte altre parti in voi degne d’onori.

Potrei dir de le vostre piú ch’umane
bellezze grate e dir che voi siete una
in Roma de le prime cortigiane;

né però penso ingiuriare alcuna,
non Franceschiglia, Padovana, Tina,
Valenziana, Vienna, Laura o Luna: