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XLIX

Forse al capitano Bino Baldeschi
disacerbando i suoi amorosi affanni.
1
Invitto capitan, pien di valore,
non perché io speri al mio dolor conforto
né, per narrarlo a voi, farlo minore,
ché nel mio male ogni rimedio è morto,
ma scrivo spinto dal soverchio ardore;
e se utile alcuno non ne riporto,
da poi che tutti gli altri beni ho persi,
posso ancor perder ben l’inchiostro e i versi.
2
Doglia al mondo non è quanto la mia;
uom piú miser di me non vede il sole;
mai fortuna ad alcun non fu si ria;
l’altrui disgrazie son rose e viole:
s’alcun afflitto il mio gran male spia,
ara ben torto, se del suo si dole;
ché Amor, Fortuna, il Ciel fèr lega insieme
per porre un uom ne le miserie estreme.
3
Lasso! lacrime piú ch’inchiostro io verso,
né per dire ’l mio duol bastan le carte;
non fingo, aimè! per far piú bello il verso,
ché ’l mio dolente stil privo è d’ogni arte:
cosi men fosse il mio dolor perverso
come io ne taccio a voi la maggior parte!
ché si scrive un martir difficilmente
a chi ’l medesmo nel suo cor non sente.
4
Ma s’io potessi in un sol giorno o doi
(che non mi basteria tutta un’etade)
dire ’l mio mal, né fusse per me poi
sorda ogni orecchia e morta ogni pietade!

O voi beati, o fortunati voi,
a cui lice mirar tanta beltade,
non prevista da me, eh’ i raggi immensi
gli occhi abbagliarmi, la ragione e i sensi!