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XXXIX

La prega di qualche frutto del suo ingegno.

Si come a picciol strepito che senta
animoso cavallo alza la testa,
tal un cuor non villan s’infiamma e desta
ad ogni atto gentil che s’appresenta.

Tenendo io dunque al bel saluto intenta
la vaga mente, a risvegliarsi è presta,
e la man, che gran tempo oziosa resta,
di vergar nuove carte audace tenta:

giá sono entrato in la smarrita via
senz’altra scorta e mendicando vegno
quel che si riccamente in voi si serba;

onde mi porgerete in cortesia
qualche frutto novel del vostro ingegno,
se la preghiera mia non è superba.

XL


Felice, s’ella alternasse con lui le rime.

L’alma, che dianzi a correr non fu lenta,
mercé d’un motto, in l’amorosa inchiesta,
luce non ha se non quanta le presta
quella fiamma, ch’intorno Amor le avventa;

e la mia voce, ornai debile e spenta,
se col suo garrular troppo v’ infesta,
non cerca portar frondi a la foresta,
ma sfogare ’l disio che mi tormenta.

Né men cortese in l’avvenir mi sia
la vostra dotta man, senza ’l cui pegno
son come prato senza fiori ed erba;

e gli alternati inchiostri tuttavia
porranno in carte or questo or quel disegno,
perché, cantando, il duol si disacerba.