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XXVIII

Grato al tempo che l’ha guarito dall’amore.

Perché sacrar non posso altari e tempi,
alato Veglio, a l’opre tue si grandi?

Tu giá le forze in quel bel viso spandi
che fe’ di noi si dolorosi scempi ;

tu de la mia vendetta i voti adempí,
l’alterezza e l’orgoglio a terra mandi;
tu solo sforzi Amore e gli comandi
che discioiga i miei lacci indegni ed empi :

tu quello or puoi che la ragion non valse,
non amico ricordo, arte o consiglio,
non giusto sdegno d’infinite offese;

tu l’alma acqueti che tant’arse ed alse,
la qual or, tolta da mortai periglio,
teco alza il volo a piú leggiadre imprese.

XXIX


Lieto dPnon piú vaneggiar d’amore.

L’oro e gli amici e men la vita amai
o se altra cosa è piú cara fra noi,
che ’l dolce, onesto conversar con voi,
né ciò godei liberamente mai.

Altri che disprezzò quel ch’io bramai,
l’ebbe a sua voglia, e me n’accorsi poi
che chi sa ben coprir i desir suoi
compra le merci a minor prezzo assai.

Ma son tant’anni che ciò spero e chieggio,
ch’a voi imbianchito è ’l volto, a me le tempie,
e d’amore alcun frutto ancor non veggio:

or piú tempo aspettar né so né deggio
e’l ciel ringrazio ch’i miei prieghi adempie
eh’in simil frenesia piú non vaneggio.