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XXVI

Tardi s’è accorto delle insidie di lei.

Chi pon le labbia su le vostre rose,
nèttar bever si crede e il velen sugge;
la lingua vibra empie saette ascose
ed assalta in un tratto e fére e fugge.
Lasso! queste spagnuole arti insidiose
giá non conobbe un che per voi si strugge;
né men del bianco dente allor s’accorse,
che mostrò di baciarlo e ’l cuor gli morse.

XXVII


Sciolto dalla signoria d’Amore.

Mentre fui preda a l’ostinato ardore
che per l’alte midolle un tempo corse,
de la mia vena altro liquor non sorse
se non quel che versai piangendo fuore.

Amico inganno è sol del vostro amore
che troppo ’l segno in farmi onor trascorse.
Volò ben col disio da l’austro a Torse,
poi ch’è tornato in libertade, il core:

sol chieggio un lume che ’l sentier mi mostri,
si ch’io ripari ’l mio danno aspro e grave,
fra tante lampe de’ superni chiostri;

e, perché ’l sonno rio piú non m’aggrave,
queste dolci sirene (orrendi mostri),
qual nuovo Ulisse, i’ varco in sorda nave.