Pagina:Guidiccioni, Giovanni – Rime, 1912 – BEIC 1850335.djvu/111

5
Piange dunque Dameta in questi prati,
sempre di ghiaccio pieni e di pruine:
piangete, colli, non di fiori ornati,
ma di tribuli, lappe, urtiche e spine:
piangete meco, armenti, e d’ululati
fate intorno sonar queste colline;
ché, da che Clori s’è da noi partita,
a sempre lacrimar il ciel n’invita.
6
Qual magro tordo in selve va volando,
passato il tempo de le negre olive,
tal, giorno e notte queste valli errando,
senza Clori, Dameta al mondo vive.

Deh, torna, Clori, il sol teco portando;
vieni a dar luce a queste fosche rive,
quai, per tirarti nel suo inculto seno,
han del tuo nome il ciel tutto ripieno.

XIX


Tuttoché le abbia sdegnate, le rimanda le sue rime.

S’io giá tutto di me vi feci dono,
queste mie voci stese in queste carte,
de la mente non sana inferma parte,
non mie, ma vostre di ragion pur sono;

ma, perché lo stil chiede, ov’ io ragiono
talor di voi, piú studio e piú bell’arte,
il vostro sdegno le gittò da parte,
e l’offesa fu giusta e la perdono:

pur come padre io le raccolsi, e poi
non mi furon mai piú dolci né grate,
né posso amar quel che non piace a voi;

or, di me prive, a le man vostre amate
tornan sol per finire i giorni suoi
e nel foco morir dove son nate.