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IV

A Francesco Maria Della Rovere, duca d’Urbino e prefetto di Roma,
contro il sacco imperiale.

(1527, maggio)

Viva fiamma di Marte, onor de’ tuoi
eh’Urbino un tempo e piú l’Italia omáro,
mira che giogo vii, che duolo amaro
preme or l’altrice de’ famosi eroi.

Abita morte ne’ begli occhi suoi,
che fúr del mondo il sol piú ardente e chiaro;
duolsene il Tebro e grida: — O duce raro,
muovi le schiere onde tant’osi e puoi,
e qui ne vien dove lo stuol degli empi
fura le sacre e gloriose spoglie
e tinge il ferro d’innocente sangue:

le tue vittorie e le mie giuste voglie
e i difetti del fato, ond’ella langue,
tu, che sol dèi, con le lor morti adempí.

V


Nel sacco di Roma.

(«527)

Il Tebro, l’Arno e ’l Po queste parole
formate da dolor saldo e pungente
od’io, che sol ho qui l’orecchie intente,
accompagnar col pianto estreme e sole:

— Chiuso e sparito è in queste rive il sole
e l’accese virtú d’amore spente;
ha l’oscura tempesta d’occidente
scossi i bei fior de’ prati e le viole;

e Borea ha svelto il mirto e ’l sacro alloro,
pregio e corona vostra, anime rare,
crollando i sacri a Dio devoti tetti :

non avrá ’l mar piú le vostr’acque chiare,
né, per gli omeri sparsi i bei crin d’oro,
fòr le ninfe trarran de l’onde i petti.