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d’inanimarli. E tanto fa l’ardor suo nel combattere, che non erasi quasi accorto delle gravi ferite delle quali in tutto il corpo era coperto.

Allora l’Orsini, a veder lui e le sue poche schiere così mal ridotte, gli si volse e gli disse: «Signor Commissario, ci vogliamo arrendere?» — «No,» gridò egli con un urlo tremendo; e quasi gli tornassero le prime forze, si scagliò furibondo fra le bande dei Lanzi, e gli altri rimanenti con lui. Ma, spossato e grondante sangue da ogni membro, rimase prigione d’uno spagnolo, che, per ritrarne la taglia, lo teneva nascosto. Allora il Maramaldo, già da Ferruccio schernito e vinto a Volterra, volle che gli fosse condotto. E là, rimpetto all’angolo destro della chiesa di Cavinana, presso una casa in allora de’ Batistini, e dopo de’ Traversari, si fe’ sopra all’eroe che col truce sguardo e co’ fieri detti lo minacciava tuttora, e per vendetta trapassogli la gola col proprio ferro; mentre quegli morendo gli lanciava queste parole: «Vil Maramaldo! tu uccidi un uomo morto!» In quelli estremi fu detto che Ferruccio, sollevando le mani, incontrò il lembo d’uno stendardo imperiale che aveva conquistato, e, aperte le luci, appena lo ravvisò, che afferratolo nel parossismo dell’agonia, vi s’avvolse le membra. Così la bandiera nemica servì di lenzuolo funereo all’ultimo eroe della Repubblica fiorentina!

Dei 3300 campioni, che quasi tutti caddero con lui in questa battaglia, che avea durato dalle 19 alle 22 ore, non sarà che debbasi obliare un Gian-