cilento; lo sguardo basso e doloroso. Era ginocchioni sull’entrata d’una di quelle spelonche, innanzi ad una croce fatta rozzamente di due rami di castagno tenuti insieme da una vermena di vinco. Non si mosse e non si volse al giunger de’ cacciatori, che fermatisi a considerarla maravigliati e riverenti, udirono che tratto tratto sospirando diceva: — Dio mio! Dio mio! sono tanti anni che piango per lui! ... Gli avrai tu perdonato? — E rimasta muta qualche momento, ripeteva poi la sua preghiera, e sempre con le stesse parole. Ritrattisi costoro, s’informarono da’ contadini dell’esser suo, ed udirono che dai più era tenuta una santa, ma nessuno seppe dire chi fosse o di dove fosse venuta. Narravano, che dopo avere inutilmente tentato di condurla a vivere nell’abitato, le aveano accomodato un po’ di lettuccio in quella spelonca, ed or gli uni, or gli altri le portavano di che campare. Un giorno poi finalmente la trovarono stesa sul suo lettuccio, bianca e fredda come un alabastro; e fatti certi che ella era passata, la seppellirono nel campo santo di San Marcello. Fosse l’esempio di costei, o qualsivoglia altra cagione, si trovò sempre d’allora in poi chi abitasse quella spelonca, e a’ dì nostri due povere vecchie vi menan vita romita e selvaggia.» Così scriveva il romanziere D’Azeglio nel 1841. Il vero è che in questi ultimi tempi tre vecchie sorelle abitavano in una casetta, sole presso alla grotta; e la singolarità della loro vita, l’età e le forme non punto leggiadre, davano largo pascolo alla fantasia