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libro decimosettimo - cap. xiv 85

che, come verissimamente diceva, aveva sempre una nuova milizia e uno nuovo esercito.

Ma quella dilazione, che insino a qui pareva stata volontaria, cominciò ad avere cagione e colore di necessitá. Perché, dopo molte pratiche tenute in Germania di mandare soccorso di fanti in Italia, le quali per la impotenza dello arciduca e per non avere Cesare mandatovi provisione di danari erano state vane, Giorgio Fronspergh, affezionato alle cose di Cesare e alla gloria della sua nazione, e che due volte capitano di grosse bande di fanti era stato con somma laude in Italia per Cesare contro a’ franzesi, deliberato con le facoltá private sostenere quello in che mancavano i príncipi, concitò con l’autoritá sua molti fanti e col mostrare la occasione grande di predare e di arricchirsi in Italia, che, con ricevere da lui uno scudo per uno, lo seguitassino al soccorso di Cesare; e ottenuto dallo arciduca sussidio di artiglierie e di cavalli si preparava a passare, facendo la massa di tutte le genti tra Bolzano e Marano. In Lomellina erano stati qualche mese cavalli e fanti della lega. La fama del quale apparato, penetrata in Italia, dette cagione al duca di Urbino di levare il pensiero da molestare Genova, ridotta quasi in ultima estremitá; non ostante che Andrea Doria, diminuite le dimande [fatte] prima, non facesse instanza di avere piú di mille cinquecento fanti, disegnando di farne egli altrettanti: i quali anche il duca gli negò, allegando per scusa la necessitá che aveva avuto di fare andare dallo esercito mille cinquecento fanti de’ viniziani in vicentino, per timore che i viniziani avevano che il soccorso tedesco non si dirizzasse a quel cammino; la quale opinione il duca confutava, persuadendosi farebbeno la via di Lecco. Per la quale cagione stava fermo a Pioltello, per essere piú propinquo a Adda; publicando volere andare a incontrargli e combattere con loro di lá da Adda, all’uscita di Valle di Sarsina.