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libro decimosettimo - cap. xi 71

Però gli imperiali abbruciorono il loro riparo che si faceva di contro al cavaliere, perché non fusse parapetto a quelli di fuora; ed essendosi, a’ diciannove, sboccate due trincee nelle fosse loro, si ritiravano con altre trincee: delle quali il duca d’Urbino teneva poco conto, perché per la brevitá del tempo non potevano essere bene fortificate e perché, ritirandosi piú al largo, era necessaria a difenderle maggiore guardia; e nondimeno dalla banda del campo, se bene le opere fussino finite, si procedeva con qualche lentezza, essendo necessario riordinare e rinnovare i fanti de’ viniziani, stati molto tempo senza danari e però diminuiti molto di numero, sopravenendo sempre nelle cose de’ collegati disordine sopra disordine. A che mentre si attendeva uscivano spesso la notte a tentare le trincee, ma indarno, perché l’esperienza della percossa ricevuta aveva insegnato agli altri. Ma ricondotti i fanti a bastanza, cominciò il duca di Urbino, a’ ventidue, a battere a una torre a canto alla batteria di Federigo; dove avendo battuto pochissimi colpi, conoscendo gli inimici essere ridotti in termine che non potevano ricusare di accordarsi, mandò dentro uno trombetto a ricercare la cittá, col quale usciti fuora uno capitano tedesco uno capitano spagnuolo e Guido Vaina, il dí seguente fu fatta capitolazione: che, non avendo soccorso per tutto il mese, avessino a lasciare Cremona, e che a’ tedeschi fusse permesso andarsene in Germania, agli spagnuoli nel regno di Napoli, promettendo non andare fra quattro mesi alla difesa dello stato di Milano; lasciassino tutte le artiglierie e munizioni, e partissinsi con le bandiere serrate senza sonare tamburi o trombe, eccetto che nel levarsi.