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fusse necessitato a mettersi in pericolo e privato della facoltá di voltarsi dove gli paresse, e perché il minacciargli da piú parti gli necessitava a fare in piú luoghi guardie grandi; donde, rispetto al numero delle genti che avevano, si augumentavano le loro difficoltá.

Condotto in questo alloggiamento l’esercito (del quale una piccola parte, mandata il dí medesimo alla terra di Moncia, la ottenne per accordo, e il dí seguente espugnò con l’artiglierie la fortezza nella quale erano cento fanti napoletani), si ristrinseno i consigli di quello fusse da fare per metter vettovaglie nel castello di Milano, ridotto come si intendeva in estrema necessitá; con intenzione di farne uscire Francesco Sforza. E benché molti de’ capitani, o perché veramente cosí sentissino o per dimostrarsi animosi e feroci in quelle cose che si avevano a determinare con piú pericolo dello onore e della estimazione di altri che sua, consigliassino che si assaltassino le trincee, nondimeno il duca di Urbino il quale giudicava fusse cosa pericolosissima, non contradicendo apertamente ma proponendo difficoltá e mettendo tempo in mezzo, impediva il farne conclusione: donde essendo rimessa la deliberazione al dí prossimo, i capitani svizzeri dimandorono di essere introdotti nel consiglio, nel quale ordinariamente non intervenivano. Le parole fece per loro il castellano di Mus, che avendone condotto la maggiore parte riteneva titolo di capitano generale tra loro. Il quale, avendo esposto che i capitani svizzeri si maravigliavano che, essendosi cominciata questa guerra per soccorrere il castello di Milano e trovandosi le cose in tanta necessitá, si stesse, dove era bisogno di animo e di esecuzione, a consumare il tempo vanamente in disputare se era da soccorrere o no, [disse] non potere credere non si facesse deliberazione opportuna alla salute comune e all’onore di tanti capitani e di tanto esercito; nel quale caso essi fare intendere che riceverebbeno per grandissima vergogna e ingiuria se, nello accostarsi al castello, non fusse dato loro quello luogo della fatica e del pericolo che meritava la fede e l’onore della nazione degli elvezi; né volere mancare di