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libro vigesimo - cap. v 305

insino a quel dí da lui in deposito, lasciando poi decidere tra loro le altercazioni: donde, per molti mesi, né fu scoperta guerra tra il papa e il duca né sicura pace, essendo tutto intento il pontefice o a opprimerlo con insidie o ad aspettare occasione di potere, con appoggio di maggiori príncipi, offenderlo scopertamente.


V

Impresa dei turchi contro l’Ungheria; loro ritirata e lentezza di Cesare; sedizione in Germania dei fanti italiani. Prigionia e liberazione del cardinale dei Medici e di Piermaria Rosso. Rinuncia dei re di Francia e d’Inghilterra a muover guerra a Cesare in Italia.

Non ebbe questo anno trentuno altri accidenti; e si andò continuando anche la quiete nel futuro anno, il quale fu piú pericoloso per guerre esterne che per movimenti di Italia. Perché il turco, acceso dall’ignominia della ributtata di Vienna e inteso Cesare essere in Germania, preparò grossissimo esercito, magnificando gli apparati con publicare di volere fare la guerra per costrignere Cesare a fare giornata seco: per la fama delle quali preparazioni e Cesare si messe in ordine quanto poteva, facendo eziandio passare il marchese del Guasto in Germania con le genti spagnuole e con grossa banda di cavalli e di fanti italiani; e il papa gli promesse soccorrerlo con quarantamila ducati ciascuno mese, e mandò a quella espedizione per legato apostolico il cardinale de’ Medici suo nipote; e i príncipi e terre franche di Germania preparorono, in favore di Cesare e per la difensione comune della Germania, uno esercito molto grosso. Ma riuscirono gli effetti molto dissimili alla fama e al terrore. Perché Solimanno, entrato tardi in Ungheria, non avendo potuto arrivarvi prima per la grandezza degli apparati e per la distanza del cammino, non andò dirittamente con l’esercito alla volta di Cesare, ma mostrata solamente la guerra e fatta una grossa scorreria se ne ritornò in Costantinopoli: né si dimostrò anche in Cesare maggiore prontezza, perché, inteso l’avvicinarsi de’ turchi,