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di casato; avendo rispetto, per confondere piú la memoria delle fazioni, di aggregare de’ gentiluomini nelle famiglie popolari, de’ popolari nelle famiglie de’ gentiluomini, de’ seguaci stati degli Adorni nelle case che avevano seguitato il nome Fregoso, e cosí, per contrario, de’ Fregosi in quelle che erano state seguaci degli Adorni: ordinato ancora che tra loro non fusse distinzione alcuna di essere proibiti, piú questi che quegli, agli onori e a’ magistrati. Con la quale confusione degli uomini e de’ nomi speravano conseguire che, in progresso di non molti anni, si spegnesse la memoria pestifera delle fazioni: restando in quel mezzo tra loro grandissima l’autoritá di Andrea Doria; senza il consenso del quale, per la riputazione dell’uomo, per l’autoritá delle galee che aveva da Cesare (che ne’ tempi che non andavano alle fazioni dimoravano nel porto di Genova), e per l’altre sue condizioni, non si sarebbe fatto deliberazione alcuna di quelle piú gravi; essendo manco molesto la potenza e grandezza sua, perché per ordine suo non si amministravano le pecunie, non si intrometteva nella elezione del doge e degli altri magistrati e nelle cose particolari e minori. In modo che i cittadini, quieti e intenti piú alle mercatanzie che alla ambizione, ricordandosi massime de’ travagli delle suggezioni passate, avevano cagione di amare quella forma di governo.

Appiccoronsi poi l’armata franzese e quella di Andrea Doria tra Monaco e Nizza, dove una galea del Doria fu messa in fondo. Abboccoronsi, perduta Savona, di nuovo il duca di Urbino e San Polo a Senazé, tra Alessandria e Pavia; dove il duca, con poca sodisfazione di Francesco Sforza e di San Polo, risolvé di andarsene di lá da Adda, lasciando al duca di Milano la guardia di Pavia e confortando San Polo a fermarsi quella vernata in Alessandria. Delle quali cose non solo si sodisfaceva poco a’ ministri, ma ancora il re di Francia, non accettando alcune scuse leggiere dategli da’ viniziani, si lamentava sommamente che i viniziani non avessino dato soccorso al Castelletto di Genova e alla cittá di Savona; la quale i genovesi sfasciavano, e avevano anche preso Vitadé e Gavi.