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di dichiarazione che il matrimonio con Caterina fusse nullo. E si persuase il re che il pontefice, per trovarsi debole di forze e di riputazione né appoggiato alla potenza di altri príncipi, e mosso ancora dal benefizio fresco de’ favori grandi avuti da lui per la sua liberazione, avesse facilmente a consentirgli; sapendo massime che il cardinale, per avere favorito sempre le cose sue e prima quelle di Lione, poteva molto in lui: e acciò che il pontefice non potesse allegare scusa di timore per la offesa che ne risultava a Cesare, figliuolo d’una sorella di Caterina, e per allettarlo con questo dono, offerse pagargli per sua sicurtá una guardia di quattromila fanti. Udí il pontefice questa proposta; ma ancora che considerasse la importanza della cosa e la infamia grande che gliene potesse risultare, nondimeno trovandosi a Orvieto, e neutrale ancora tra Cesare e il re di Francia e in poca confidenza con ciascuno di loro, e però stimando assai il conservarsi l’amicizia del re d’Inghilterra, non ebbe ardire di contradire a questa dimanda; anzi, dimostrandosi desideroso di compiacere al re ma allungando, col difficultare i modi che si proponeva, accese la speranza e la importunitá del re e de’ suoi ministri, la quale, origine di molti mali, continuamente augumentava.

Ma quando il pontefice ebbe udito Valdemonte e Longavilla, il quale gli era stato mandato dal re [di Francia], risposto a loro parole generali, mandò al re insieme con Longavilla il vescovo di Pistoia, per farlo capace che, per l’essere senza danari senza forze e senza autoritá, la dichiarazione sua non sarebbe di frutto alcuno a’ collegati; potergli solamente giovare nel trattare la pace, e che però aveva commissione di andare a Cesare per esortarnelo con parole rigorose: il che il re, benché non restasse male sodisfatto della neutralitá del pontefice, nondimeno, dubitando non lo mandasse per trattare altro, non consentí. Né Cesare anche si lamentava del pontefice se stava neutrale.