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libro decimottavo- cap. xv 177

la quale quanto piú si differiva tanto procedeva in maggiore precipizio la autoritá e lo stato della Chiesa: ma sopra tutto averlo mosso la speranza d’avere a essere instrumento opportuno a trattare col suo re e con gli altri príncipi cristiani il bene comune. Queste furono da principio le sue parole, sincere e semplici come pareva convenire allo officio pontificale, e di uno pontefice specialmente che avesse avuto da Dio sí gravi e sí aspre ammonizioni: nondimeno, ritenendo la sua natura solita, né avendo per la carcere deposte né le sue astuzie né le sue cupiditá, arrivati che furono a lui (giá cominciato l’anno mille cinquecento ventotto) gli uomini mandati da Lautrech e Gregorio da Casale oratore del re di Inghilterra, a ricercarlo che si confederasse con gli altri, cominciò a dare varie risposte: ora dando speranza ora scusandosi che, non avendo né danari né gente né autoritá, sarebbe a loro inutile il suo dichiararsi, e nondimeno a sé potrebbe essere nocivo perché darebbe causa agli imperiali di offenderlo in molti luoghi, ora accennando di volere sodisfare a questa dimanda se Lautrech venisse innanzi: cosa molto desiderata da lui perché i tedeschi avessino necessitá di partirsi di Roma; i quali, consumando le reliquie di quella misera cittá e di tutto il paese circostante, e deposta totalmente la obbedienza de’ capitani, tumultuando spesso tra loro, ricusavano di partirsi, dimandando nuovi denari e pagamenti.

Ma alla fine dell’anno precedente, e molto piú nel principio dell’anno medesimo, cominciorono manifestamente ad apparire vane le pratiche della pace, per le quali si esacerborono molto piú gli animi de’ príncipi: perché, essendo risolute quasi tutte le difficoltá (con ciò sia che Cesare non negasse di restituire il ducato di Milano a Francesco Sforza, e di comporre co’ viniziani e co’ fiorentini e con gli altri confederati), si disputava solamente quale cosa s’avesse prima a mettere in esecuzione, o la partita dello esercito del re di Francia di Italia o la restituzione de’ figliuoli. Negava il re di obligarsi a Cesare, restando a lui Genova, Asti e Edin, a levare l’esercito di Italia, se prima non recuperava i figli, ma