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libro decimottavo- cap. xiii 165

(secondo credo) passato l’esercito, si inviò verso Benerola, villa propinqua a quattro miglia a Milano; dimostrando di volere andare, come lo confortavano i viniziani, a campo a quella cittá, ma veramente risoluto a quella deliberazione che gli paresse piú facile. Ma avendo inteso, come fu appropinquato a otto miglia a Milano, il Belgioioso avervi la notte dinanzi mandati quattrocento fanti, in modo che in Pavia non erano restati se non ottocento, voltato il cammino, andò il dí seguente, che fu il vigesimo ottavo dí di settembre, al monasterio della Certosa e dipoi con celeritá grande si pose a campo a Pavia; al soccorso della quale cittá avendo Antonio de Leva, come intese la mutazione di Lautrech, mandato tre bandiere di fanti, non potettono entrarvi, in modo che per il piccolo numero de’ difensori non pareva potersi resistere: e nondimeno il Belgioioso, supplicandolo il popolo della cittá che permettesse loro che per fuggire il sacco e la distruzione della cittá si accordassino, lo recusò. Ma avendo Lautrech continuato di battere quattro dí, e gittato in terra tanto muro che i pochi difensori non bastavano a ripararlo, alla fine il Belgioioso mandò uno trombetto a Lautrech; il quale non avendo potuto parlargli cosí presto, perché per sorte era andato nel campo de’ viniziani, i soldati accostatisi entrorono nella terra per le rovine del muro: il che vedendo il Belgioioso, aperta la porta, uscí fuora ad arrendersi a’ franzesi, da’ quali fu mandato prigione a Genova. La cittá andò a sacco, e vi fu per otto dí continui usata da’ franzesi crudeltá grande e fatti molti incendi, per memoria della rotta ricevuta nel barco. Disputossi poi se era da andare alla impresa di Milano o da procedere verso Roma. Instavano i fiorentini che andasse innanzi, per timore che, fermandosi Lautrech in Lombardia, lo esercito imperiale non uscisse di Roma a’ danni loro; contradicevano i viniziani e il duca di Milano, venuto personalmente a Pavia a fare questa instanza, allegando la opportunitá grande che si aveva di pigliare Milano e il profitto che se ne traeva ancora alla impresa di Napoli, perché preso Milano non restava speranza agli imperiali di avere soccorso di Germania, ma restando aperta