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libro decimottavo- cap. x 149

ne partí, non fatto segno alcuno di resistenza: e disprezzò in questo il duca l’autoritá de’ viniziani, i quali lo confortavano a non fare, in tempo tale, innovazione alcuna contro alla Chiesa. E nondimeno essi, non contenendo se medesimi da quello che dissuadevano agli altri, avuta intelligenza co’ guelfi di Ravenna, mandativi fanti sotto colore di guardarla per timore di quelli di Cotignuola, appropriorono a sé quella cittá; e ammazzato furtivamente il castellano, occuporono anche la fortezza, publicando volerla tenere in nome di tutta la lega; occuporono e, pochi dí poi, Cervia e i sali che vi erano del pontefice. Nello stato del quale, non essendo né chi lo guardasse né chi lo difendesse, se non quanto da se stessi per interesse proprio facevano i popoli, occupò Sigismondo Malatesta con la medesima facilitá la cittá e la rocca di Rimini.

Ma non avevano le cose sue avuta nella cittá di Firenze migliore fortuna. Perché, come vi fu la nuova della perdita di Roma, il cardinale di Cortona, impaurito per trovarsi abbandonato da’ cittadini che facevano professione di essere amici de’ Medici, non avendo modo, senza termini violenti ed estraordinari, di provedere a’ denari, né volendo per avarizia mettere mano a’ suoi, almeno insino a tanto che si intendesse il progresso degli eserciti che andavano per soccorrere il pontefice, non lo movendo alcuna necessitá, perché nella cittá erano molti soldati, e il popolo spaventato per l’accidente seguito della occupazione del palazzo non arebbe avuto ardire di muoversi, deliberò di cedere alla fortuna; e, convocati i cittadini, lasciò libera a loro l’amministrazione della republica, ottenuti certi privilegi ed esenzioni, e facoltá a’ nipoti del pontefice di stare come cittadini privati in Firenze, e abolizione per ciascuno di tutte le cose perpetrate per il passato contro allo stato. Le quali cose conchiuse, il sestodecimo dí di maggio, egli co’ nipoti se ne andò a Lucca; dove pentitosi presto del partito preso con tanta timiditá, fece pruova di ritenersi le fortezze di Pisa e di Livorno, le quali erano in mano di castellani confidenti al pontefice; e nondimeno questi, fra pochi giorni, non sperando per la cattivitá del papa soccorso alcuno,