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non si fusse stabilito in perpetuo, con l’armi e col sangue de’ cittadini, lo stato alla famiglia de’ Medici; e la moltitudine poi lo calunniò che, dimostrando, quando andò in palagio, i pericoli maggiori che non erano, gli avesse indotti, per beneficio de’ Medici, a cedere senza necessitá.

La tumultuazione di Firenze, benché si quietasse il dí medesimo e senza uccisione, fu nondimeno origine di gravissimi disordini; e forse si può dire che se non fusse stato questo accidente, non sarebbe succeduta quella ruina che poi prestissimamente succedette: perché il duca di Urbino e il marchese di Saluzzo, fermatisi in Firenze per la occasione di questo tumulto (benché senza necessitá), non andorono a vedere, secondo la deliberazione che era stata fatta, l’alloggiamento dell’Ancisa; e il seguente dí Luigi Pisano e Marco Foscaro, oratore veneto appresso a’ fiorentini, veduta la instabilitá della cittá, protestorono non volere che l’esercito passasse Firenze se prima non si conchiudeva la confederazione trattata, nella quale dimandavano contribuzione di diecimila fanti, parendo loro tempo da valersi delle necessitá de’ fiorentini. Ma si conchiuse finalmente il vigesimo ottavo dí, rimettendosi a quella contribuzione che sarebbe dichiarata dal pontefice; il quale si credeva che giá si fusse ricongiunto co’ collegati. Aggiunsesi che, essendo venuto il tempo de’ pagamenti de’ svizzeri, né avendo Luigi Pisano, secondo le male provisioni che facevano i viniziani, danari da pagargli, passò qualche dí innanzi gli provedesse; in modo che si pretermesse il consiglio salutifero di andare con gli eserciti ad alloggiare all’Ancisa.

Nel quale stato delle cose il pontefice, inteso lo inganno usato al viceré da Borbone e la passata sua in Toscana, volto per necessitá a’ pensieri della guerra, aveva conchiuso, a’ venticinque dí, di nuovo confederazione col re di Francia e co’ viniziani, obligandogli a sovvenirlo di grosse somme di denari, né volendo obligare i fiorentini o sé ad altro che a quello che comportassino le loro facoltá; allegando la stracchezza in che era l’uno e l’altro di loro per avere speso eccessivamente.