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paese, sollevati e tumultuosi per i danni e per le ingiurie ricevute dallo esercito: perché il marchese ancora che il duca d’Urbino, tiratolo a parlamento a Castel San Piero, cercasse di interporre o difficoltá o dilazione, fu pronto a passare l’alpi, in modo che a’ ventidue alloggiò al Borgo a San Lorenzo in Mugello; e il duca di Urbino, non potendo onestamente discostarsene né volendo tirare a sé tutto il carico, veduta la prontezza de’ franzesi, e sapendosi i viniziani essersi rimessi in lui (con commissione però, se subito che arrivasse in Toscana i fiorentini non facessino la confederazione, di ripassare subito l’esercito), passò ancora egli e alloggiò, il vigesimo quinto dí del mese, a Barberino.

Borbone intanto, passate il medesimo dí l’alpi, alloggiò alla Pieve a Santo Stefano; la quale terra dallo assalto de’ suoi si difese francamente: e al pontefice, per intrattenerlo con le medesime arti e avere maggiore occasione di offenderlo, mandò uno uomo suo a confermare il desiderio che aveva di accordare seco, ma che veduta la pertinacia delle sue genti l’accompagnava per minore male; ma che lo confortava a non rompere le pratiche dello accordo, né guardare in qualche somma piú di denari. Ma era superfluo l’usare col pontefice queste diligenze: il quale, credendo troppo a quello desiderava, e troppo desiderando di alleggerirsi della spesa, subito che ebbe avviso della conclusione fatta in Firenze, con la presenza e consentimento del mandatario di Borbone, aveva imprudentissimamente licenziati quasi tutti i fanti delle bande nere; e Valdemonte, come in sicurissima pace, se ne era andato per mare alla volta di Marsilia.