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libro decimosettimo - cap. xvii 97

al quale effetto era stata fatta la simulazione di decapitarlo; co’ quali uscito di carcere diventò subito, col vigore del suo ingegno, di prigione del duca di Borbone suo consigliere e, innanzi passassino molti dí, quasi assoluto suo governatore), erano tra il papa e il viceré grandi i trattati di tregua o di pace; ma piú veri e piú sostanziali i disegni del viceré di fare la guerra, preso animo, poi che fu arrivato a Gaeta, dai conforti de’ Colonnesi e dallo intendere che il pontefice, perduto totalmente d’animo ed esausto di denari, appetiva grandemente l’accordo, e predicando a tutti la sua povertá e il suo timore, né volendo creare cardinali per denari come era confortato da tutti, accresceva l’ardire e la speranza di chi disegnava di offenderlo. Perché il pontefice, il quale non era entrato nella guerra con la costanza dell’animo conveniente, aveva scritto insino il vigesimo sesto dí di giugno [un brieve a Cesare] acerbo e pieno di querele, escusandosi di essere stato necessitato da lui alla guerra; ma parendogli, poi che l’ebbe espedito, che fusse troppo acerbo, ne scrisse subito un altro piú mansueto, commettendo a Baldassare da Castiglione suo nunzio che ritenesse il primo; il quale, giá arrivato, era stato presentato il decimosettimo dí di settembre; fu dipoi presentato l’altro, e Cesare separatamente, benché in una espedizione medesima, rispose all’uno e all’altro secondo le proposte: allo acerbo acerbamente, al dolce dolcemente. Aveva avidamente prestato orecchi al generale di San Francesco, il quale, andandosene, quando si mosse la guerra, in Spagna, ebbe dal papa imbasciate dolci a Cesare; e di nuovo ritornato a Roma, per commissione di Cesare, aveva riferito assai della sua buona mente: e che sarebbe contento venire in Italia con cinquemila uomini e, presa la corona dello imperio, passare subito in Germania per dare forma alle cose di Luter, senza parlare del concilio; accordare co’ viniziani con oneste condizioni; rimettere in due giudici diputati dal papa e da lui la causa di Francesco Sforza, il quale se fusse condannato, dare quello stato al duca di Borbone; levare lo esercito di Italia, pagando il papa e i viniziani trecentomila scudi o piú per le paghe corse (pure, che