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libro quartodecimo - cap. iii 91

che non erano quegli di fuora, assaltatigli allo improviso, gli messe in fuga con tanta facilitá che si credette per molti che avesse con danari e con promesse corrotto il capitano de’ tedeschi. Affondorno nel lago tre barche, presonne sette e molti degli inimici, tra’ quali Manfredi e il Matto che fuggivano per la via de’ monti; e liberati tutti i fanti tedeschi, gli altri furono condotti a Milano, dove Manfredi e il Matto furono squartati publicamente: avendo prima confessato, Bartolommeo Ferrero milanese, uomo di non piccola autoritá, essere conscio delle pratiche del Morone. Il quale, incarcerato insieme col figliuolo, fu condannato al medesimo supplicio, per non avere rivelato che il Morone l’aveva con occulte imbasciate stimolato a trattare cose nuove contro al re.

Nel qual tempo il pontefice, conoscendo di quanta opportunitá fusse lo stato di Mantova alle guerre di Lombardia, condusse per capitano generale della Chiesa Federico marchese di Mantova, con dugento uomini d’arme e dugento cavalli leggieri; il quale, innanzi si conducesse, rinunziò all’ordine di San Michele, nel quale era stato assunto dal re di Francia, e gli rimandò il collare e il segno che dona il re a chi si assume in tale ordine. Ma a Roma, con consiglio di Prospero Colonna, fu deliberato dal pontefice e dallo oratore cesareo l’ordine e il modo di procedere nella guerra: che quanto piú presto si potesse si assaltasse dai confini della Chiesa lo stato di Milano con le genti d’arme del pontefice e de’ fiorentini, le quali, computato la condotta del marchese di Mantova, ascendevano al numero vero seicento uomini d’arme; a’ quali si aggiugnessino tutte le genti d’arme di Cesare che erano nel reame di Napoli, in numero quasi pari a quelle di sopra, perché si destinava che il retroguardo rimanesse alla custodia di quello reame: che si soldassino seimila fanti italiani; venissino allo esercito, che aveva a unirsi tra il modenese e il reggiano, i dumila fanti spagnuoli che con lo Adorno si trovavano nella riviera di Genova; dumila altri ne menasse del regno di Napoli il marchese di Pescara, e si conducessino a spese comuni del pontefice e di Cesare quattromila fanti tede-