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ridotte le cose in manifesta guerra, erano tanto moltiplicati i disordini che Cesare piccolissima autoritá vi riteneva: donde in Italia e fuora cresceva la speranza di coloro che arebbono desiderato diminuire tanta grandezza. Aveva nondimeno l’armata sua acquistato contro a’ mori l’isola delle Gerbe, e in Germania era stata repressa in qualche parte la riputazione del re di Francia. Perché dando egli, per notrire discordie in quella provincia, favore al duca di Vertimberg discordante con la lega di Svevia, quegli popoli risentitisi potentemente lo cacciorono del suo stato e acquistato che lo ebbono lo venderono a Cesare, desideroso di abbassare i seguaci del re di Francia, obligandosi alla difesa contro a qualunque lo molestasse. Per il che quello duca, trovandosi distrutto sotto la speranza degli aiuti franzesi, fu necessitato ricorrere alla clemenza di Cesare, e da lui accettare quelle leggi, che gli furono date: non rimesso però per questo nella possessione del suo ducato.

Nella fine di questo anno medesimo, circa tremila fanti spagnuoli stati piú mesi in Sicilia, non volendo ritornare in Spagna secondo il comandamento avuto da Cesare, disprezzata l’autoritá de’ capitani, passorono a Reggio di Calavria; e procedendo con fare per tutto gravissimi danni verso lo stato della Chiesa, messono in grave terrore il pontefice (nell’animo del quale era fissa la memoria degli accidenti di Urbino) che, o sollevati da altri príncipi o accompagnandosi con il duca Francesco Maria, co’ figliuoli di Giampaolo Baglione e con gli altri inimici della Chiesa, non suscitassino qualche incendio: massime recusando le offerte fatte dal viceré di Napoli e da lui di soldarne una parte, e agli altri fare donativo di danari. Dalle quali offerte preso maggiore animo, si movevano verso il fiume del Tronto, non per il paese stretto del Capitanato ma per il cammino largo di Puglia; e aggiugnendosi continuamente altri fanti e qualche cavallo, diventavano sempre piú formidabili. Nondimeno, si risolvé piú facilmente e piú presto che gli uomini non credevano questo movimento; perché passato il Tronto per entrare nella Marca