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ottomila ducati, non deviando in altro dalla ubbidienza solita della Chiesa. Assaltò dipoi la cittá di Osimo poco felicemente. Messe finalmente il campo alla terra di Corinaldo, dove erano dugento fanti forestieri; da’ quali e dagli uomini della terra fu difesa sí francamente che, statovi intorno ventidue dí, alla fine, disperato di pigliarla, si levò: con grande diminuzione del terrore di quello esercito, che non avesse espugnato terra alcuna di quelle che avevano recusato di comporsi; il che non procedeva né dalla imperizia de’ capitani né dalla ignavia de’ soldati, ma perché non avevano artiglierie se non piccolissima quantitá, e piccoli pezzi e quasi senza munizione. E nondimeno era stato necessario, alle terre le quali non avevano voluto cedergli, dimostrare da se stesse la sua costanza e il suo valore: perché i capitani dell’esercito ecclesiastico, de’ quali era principale il conte di Potenza, se bene avessino mandato gente a predare insino in su le mura di Urbino, e Sise, ritornato da Cittá di Castello in Romagna, fusse dipoi entrato nel Montefeltro e preso per forza Secchiano e alcune altre piccole terre, si erano ridotti ad alloggiare cinque miglia presso a Pesero, deliberati di non soccorrere luogo alcuno né di muoversi se non quanto gli facesse muovere la necessitá del ritirarsi; perché essendo, quando erano tanto superiori di forze, succedute cosí infelicemente le cose, trovandosi ora tanto manco potenti di fanterie, non arebbeno non che altro ardito di sostenere la fama dello approssimarsi degli inimici.

Nella quale deliberazione, fatta secondo la mente del pontefice, gli confermava la speranza della venuta di seimila svizzeri, i quali il papa, seguitando il consiglio del re di Francia, avea mandato a soldare: perché quel re, dopo la confederazione fatta, desiderava la vittoria del pontefice, e nel tempo medesimo aveva di lui il medesimo sospetto che prima. Conservavanlo nel sospetto le relazioni fattegli da Galeazzo Visconte e da Marcantonio Colonna; l’uno de’ quali restituito dall’esilio nella patria, l’altro per non gli parere che da Cesare fussino riconosciute l’opere sue, condotti con onorate condizioni agli stipendi del re, aveano riferito il papa essersi molto affaticato