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libro sestodecimo - cap. xiii 333

che Cesare aveva ricevuto l’avviso della cattura del Morone: e condotto, il sesto dí di dicembre, innanzi al pontefice, oltre a molte offerte e fede larghissima della buona disposizione di Cesare, gli presentò i capitoli [dell'accordo]; del quale se bene i capitoli che trattavano del sale e delle cose beneficiali del reame di Napoli erano discrepanti da quello che aveva appuntato col viceré, pure, perché il principale suo fine era di assicurarsi da’ sospetti, gli arebbe accettati se avesse conosciuto procedersi sinceramente nelle cose del ducato di Milano. Ma poi che nel capitolo che trattava di Francesco Sforza non si faceva menzione della imputazione che gli era stata data, né si prometteva di restituire lo stato tolto né di perdonargli gli errori che avesse commesso (anzi Cesare, nella conclusione fatta col legato e nella istruzione data a questo suo agente, non aveva dimostrato di saperne cosa alcuna), fu conosciuta facilmente la astuzia e arte loro: perché la confederazione e la promessa di conservare e difendere Francesco Sforza nel ducato di Milano non privava Cesare della potestá di procedergli contro come suo vassallo, e dichiarare il feudo divoluto, per la imputazione dello avere macchinato contro alla Maestá sua; e Borbone, surrogato in caso della sua morte, veniva anche a succedere in caso della sua privazione, perché dalle leggi è considerata la morte naturale e la morte civile, della quale dicono morire chi è condennato per tale delitto. Però rispose il pontefice, con gravissime parole: non avere con Cesare causa alcuna particolare di discordia, anzi, che di ogni differenza e disputa che potesse essere tra loro non eleggerebbe mai altro giudice che lui; ma che era anche necessario fermare in modo le cose comuni che Italia restasse sicura, il che non poteva essere se non si rilasciava a Francesco Sforza il ducato di Milano; e gli mostrò le ragioni per le quali quello capitolo cosí generale non era bastante; conchiudendo che a lui sarebbe grandissimo dispiacere di essere necessitato a pigliare nuove deliberazioni, e discostarsi da Cesare col quale era stato sempre congiuntissimo. Replicò il duca di Sessa che la mente di Cesare era sincerissima, e che senza dubbio era contento che, non ostante