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libro sestodecimo - cap. viii 311

cipio ci prestasse orecchi, con simulazione o no, sono state varie le opinioni insino tra gli spagnuoli, e nella corte medesima di Cesare; e i piú, calcolando i tempi e gli andamenti delle cose, hanno creduto che egli da principio concorresse veramente con gli altri ma che poi, considerando molte difficoltá che potevano sorgere in progresso di tempo, e spaventandolo massime il trattare continuamente i franzesi con Cesare, e dipoi la deliberazione della andata della duchessa di Alanson a Cesare, facesse nuove deliberazioni. Anzi, affermano alcuni avere tardato tanto a dare avviso a Cesare del trattarsi in Italia cose nuove che, avendone giá ricevuto avviso da Antonio de Leva e da Marino abate di Nagera commissario nello esercito cesareo, non si stava nella corte senza ammirazione del silenzio del marchese. Ma quel che fusse allora, certo è che, non molto poi, mandato Giovambatista Castaldo suo uomo a Cesare, gli manifestò tutto quello che si trattava, e con consentimento suo continuò la medesima pratica: anzi, per avere notizia de’ pensieri di ciascuno e a tutti levare la facoltá di potere mai negare di avervi acconsentito, ne parlò da se medesimo col duca di Milano, e operò che il Morone procurasse tanto che il pontefice, il quale poco innanzi gli aveva dato in governo perpetuo la cittá di Benevento, e con chi egli intratteneva grandissima amicizia e servitú, mandò Domenico Sauli con uno breve di credenza a parlargli del medesimo. Le conclusioni che si trattavano erano: che tra il papa il governo di Francia e gli altri di Italia si facesse una lega della quale fusse capitano generale il marchese di Pescara, e che egli, avendo prima alloggiata la fanteria spagnuola separatamente in diversi luoghi del ducato di Milano, ne tirasse seco quella parte che lo volesse seguitare; gli altri con Antonio de Leva, che dopo lui era restato il primo dello esercito, fussino svaligiati e ammazzati; e che con le forze di tutti i confederati si facesse per lui la impresa del regno di Napoli, del quale il papa gli concedesse la investitura. Alle quali cose il marchese dimostrava di non interporre altra difficoltá che il volere, innanzi a tutto, essere bene certificato se, senza maculare l’onore