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libro quintodecimodecimo - cap. xii 245

tenza, perché metterebbe prima a ogni pericolo tutti i regni e la vita propria: ed essere tanto fisso in questo che supplicava Iddio non fusse cagione della dannazione della sua anima. Alle quali querele replicava l’oratore fiorentino: il papa, poi che fu eletto alla suprema degnitá, essere stato obligato a procedere non piú come cardinale de’ Medici ma come pontefice romano, l’ufficio del quale era pensare e affaticarsi per la pace de’ cristiani; perciò non avere mai ricordato altro che la necessitá che se n’avea, scrittone sí spesso a lui e mandatogli l’arcivescovo di Capua due volte, e protestato che il debito suo era non aderire ad alcuno; avere ricordato il medesimo quando l’ammiraglio partí di Italia, non si potendo in tempo alcuno trattare con maggiore onore per lui: né avere riportata altra risposta che non si potere fare senza consentimento del re di Inghilterra. Ricordassesi Cesare quanto il pontefice avesse dissuaso il passare nella Provenza, perché si turbava in tutto la speranza della pace e perché, come indovino delle cose che erano succedute, avea predetto che la necessitá che si poneva al re di Francia di armarsi potrebbe essere occasione di suscitare incendio in Italia di maggiori pericoli. Avere per il vescovo di Verona confortato il re, giá possessore di Milano, e il viceré, alla concordia; ma in niuno avere trovato inclinazione alla pace. Avere dipoi negato, con molte ragioni e con grandissima efficacia, di consentire il passo per lo stato della Chiesa alle genti che andavano contro al regno di Napoli; ma il re non solo essere stato sordo alle parole sue ma, non aspettata la sua risposta, averle giá fatte passare nel piacentino. Perciò avere ultimamente mandato Paolo Vettori a confortare il viceré alla sospensione dell’armi, proponendogli le condizioni conformi al tempo; e a certificarlo della necessitá che avea di assicurarsi dal pericolo imminente, vedendo massime stare sospesi i viniziani, e il re di Inghilterra alieno dal concorrere alla difesa del ducato di Milano se, nel tempo medesimo, per Cesare e per lui non si muoveva la guerra di lá da’ monti: ma vedendo il viceré ricusare tutti i modi proposti e le genti del re procedere sempre innanzi, era