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libro quintodecimodecimo - cap. ix 231

senza indugio, passare in Italia personalmente; qualunque mi conforterá al contrario non solo non sará udito da me ma mi fará cosa molto molesta. Attenda ciascuno a eseguire sollecitamente quel che gli sará commesso, o che appartiene all’ufficio suo. Iddio, amatore della giustizia, e la insolenza e temeritá degli inimici ci ha finalmente aperta la via di ricuperare quel che indebitamente ci era stato rapito. —

A queste parole corrispose e la costanza nella determinazione e la celeritá dell’esecuzione. Mosse subito l’esercito, nel quale erano dumila lancie e ventimila fanti; fuggito il congresso della madre, che da Avignone veniva per confortarlo che non passando i monti amministrasse la guerra per capitani. Commesse a Renzo da Ceri che co’ fanti che erano stati seco a Marsilia salisse in sull’armata e, o per non prestare l’orecchie a’ ragionamenti della concordia o diffidando del pontefice, vietò che l’arcivescovo di Capua, mandato a lui per passare poi a Cesare, procedesse piú oltre, ma che o trattasse seco per lettere, aspettando in Avignone appresso alla madre, o ritornasse al pontefice. E se (come scrisse iattabondo in Italia, presupponendo forse, secondo l’uso di molti, le cose ragionate e disegnate per giá fatte o eseguite) avesse col medesimo ardore fatto seguitare gli inimici che si partivano, sarebbe per avventura, con poco sangue e senza pericolo, rimasto vincitore di tutta la guerra. Ma essi disprezzando le molestie date da’ paesani e seguitati da piccole forze del re, procedendo con grandissimo ordine per la riviera del mare si condussono a Monaco; ove rotte in molti pezzi l’artiglierie e caricatele in su’ muli, per condurle piú facilmente, pervennero al Finale: nel qual luogo intesa la mossa del re, raddoppiorno, per essere a tempo a difendere il ducato di Milano, nel quale non erano rimaste forze sufficienti a resistere, quella celeritá che prima aveano usata per salvarsi. Cosí, procedendo l’uno e l’altro esercito verso Italia, pervennono, in un dí medesimo, il re di Francia a Vercelli, il marchese di Pescara co’ cavalli e co’ fanti spagnuoli ad Alva; seguitando il duca di Borbone co’ fanti tedeschi per intervallo di una giornata;