Pagina:Guicciardini, Francesco – Storia d'Italia, Vol. IV, 1929 – BEIC 1847812.djvu/227


libro quintodecimodecimo - cap. viii 221

Sforza, chiamato a sé Giovanni de’ Medici; e seguitandolo oltre a’ soldati tutta la gioventú del popolo milanese. Dettono l’assalto alla terra, avendola prima battuta con l’artiglierie da’ primi raggi del sole insino a mezzo il giorno, e l’espugnarono il dí medesimo; con singolare laude di Giovanni de’ Medici, nel quale apparí quel dí non solamente la ferocia, colla quale avanzava tutti gli altri, ma prudenza e maturitá degna di sommo capitano. Fu preso il Caracciolo, ammazzati molti fanti, molti ne fece sospendere Giovanni de’ Medici per punizione di essersi prima fuggiti da lui. Spugnata la terra s’arrendé la rocca, pattuita la salute di quegli che vi erano dentro. Fu lietissima questa vittoria al popolo milanese; ma senza comparazione maggiore fu la infelicitá che la letizia, perché da Biagrassa, dove era cominciata la peste, furno, per il commercio delle cose saccheggiate trasportate a Milano sparsi in quella cittá i semi di tanto pestifera contagione; la quale, pochi mesi poi, si ampliò tanto che solamente in Milano tolse la vita a piú di cinquantamila persone.

Ma di lá dal Tesino, ove era la somma delle cose, l’ammiraglio, dopo la perdita di Sartirano essendosegli di nuovo approssimati gli inimici, abbandonata Mortara si ritiro in due alloggiamenti a Novara; diminuito molto di forze, perché non solamente de’ fanti ma assai degli uomini d’arme erano alla sfilata ritornati in Francia: onde niuno altro intento era in lui che temporeggiarsi insino a tanto venisse il soccorso de’ svizzeri, i quali in numero circa ottomila erano giá vicini a Ivrea. Da altra parte i capitani [imperiali] intenti a impedire la venuta loro, intenti a ridurre gli inimici in difficoltá di vettovaglie, occupavano le terre vicine a Novara, ammazzando i franzesi ove gli trovavano lasciati alla guardia delle terre; e avendo messo presidio in Vercelli, per torre la facoltá a’ svizzeri di entrarvi, si fermorno a Biandrá tra Vercelli e Novara, in uno alloggiamento circondato da ogni parte di fossi d’alberi e acque. Finalmente l’ammiraglio, intendendo i svizzeri passata Ivrea essersi fermati in sul fiume della Sesia, il quale per la copia che in quelli dí vi era d’acque non aveano