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futuro. Ma continuandosi le discordie tra i príncipi, non furono minori i travagli dell’anno mille cinquecento ventitré.

Nel principio del quale, i Malatesti, conoscendosi impotenti a resistere alle forze del pontefice, per interposizione del duca d’Urbino furono contenti lasciare Rimini e la fortezza; avuta intenzione, benché incerta, di avere qualche sostentamento per la vita di Pandolfo: il che non ebbe effetto alcuno. Andò dipoi il duca di Urbino al pontefice, appresso al quale e nella maggiore parte della corte facendogli favore la memoria gloriosa di Giulio pontefice, ottenne l’assoluzione dalle censure, e d’essere rinvestito del ducato d’Urbino ma con la clausula, senza pregiudizio delle ragioni; per non pregiudicare alla applicazione che era stata fatta a’ fiorentini del Montefeltro, i quali dicevano avere prestato a Lione, per difesa di quello ducato, ducati trecento cinquantamila e averne spesi dopo la morte sua in diversi luoghi, per la conservazione dello stato della Chiesa, piú di settantamila. Ricevé ancora in grazia il pontefice il duca di Ferrara, rinvestendolo non solamente di Ferrara e di tutto quello che innanzi alla guerra mossa da Lione contro a’ franzesi possedeva appartenente alla Chiesa, ma lasciandogli eziandio, con grave nota sua o de’ ministri che usavano male la sua imperizia, le castella di San Felice e del Finale; quali, acquistate da lui quando roppe la guerra a Lione e dipoi riperdute innanzi alla sua morte, aveva di nuovo riprese per l’occasione della vacazione della Chiesa. Obligossi il duca di Ferrara ad aiutare con certo numero di gente la Chiesa quando occorresse per la difesa del suo stato, e si astrinse con gravissime pene, sottomettendosi ancora al ricadere della investitura e alla privazione di tutte le sue ragioni, in caso che in futuro offendesse piú la sedia apostolica. Dettegli ancora il pontefice non piccola intenzione di restituirgli Modena e Reggio: benché da questo, essendogli dipoi dimostrata la importanza della cosa e, per lo esempio degli antecessori suoi, la infamia che ne perverrebbe al suo nome, si alienò con l’animo ogni dí piú.

Nel quale tempo il castello di Milano, stretto da carestia