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libro quintodecimodecimo - cap. i 173

il dí a predare i legni degli infedeli, fussino qualche volta licenziosi eziandio contro a’ legni de’ cristiani. Stette intorno a questa isola molti mesi grandissimo esercito e il turco in persona, non perdendo mai uno minimo punto di tempo di tormentargli, ora col dare battaglie atrocissime ora col fare mine e trincee ora col fare cavalieri grandissimi di terra e di legname che soprafacessino le mura della terra: per le quali opere, tirate innanzi con grandissima uccisione de’ suoi, era anche diminuito notabilmente il numero di quegli di dentro; tanto che stracchi dalle continue fatiche e mancando loro la polvere per l’artiglierie, non potendo piú resistere a tante molestie, gittato in terra dall’artiglierie grande parte delle mura e le mine passate in molti luoghi della terra, nella quale loro, per essere espugnati i primi luoghi, si andavano continuamente ristrignendo, finalmente, ridotti all’ultime necessitá, capitolorono col turco che il gran maestro gli lasciasse la terra, che egli con tutti i cavalieri e rodiani potessino uscirne salvi con facoltá di portare seco quanta piú roba potevano e, per avere qualche sicurtá, che il turco facesse partire l’armata di quegli mari e discostasse da Rodi cinque miglia lo esercito di terra. Per virtú della quale capitolazione restò Rodi a’ turchi, e i cristiani, essendo osservata loro la fede, passorono in Sicilia e poi in Italia; avendo trovato in Sicilia una armata di certe navi che si ordinava (ma tardi per colpa del pontefice) per mettere in Rodi, come avessino il vento prospero, rinfrescamento di vettovaglie e di munizioni: e partiti furono di Rodi, Solimanno, in maggiore dispregio della cristiana religione, fece l’entrata sua in quella cittá il giorno della nativitá del Figliuolo di Dio; nel quale dí, celebrato con infiniti canti e musiche nelle chiese de’ cristiani, egli fece convertire tutte le chiese di Rodi, dedicate al culto di Cristo, in moschee; che secondo l’uso loro, esterminati tutti i riti de’ cristiani, furono dedicate al culto di Maometto. Questo fine ignominioso al nome cristiano, questo frutto delle discordie de’ nostri príncipi, ebbe l’anno mille cinquecento ventidue, tollerabile se almanco l’esempio del danno passato avesse dato documento per il tempo