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libro quartodecimo - cap. xi 141

Ferrara a Lugo per il Po né trovando per lo stato della Chiesa ostacolo alcuno, come furno vicini al ducato di Urbino, il duca chiamato da’ popoli ricuperò, eccetto quello che possedevano i fiorentini, incontinente ogni cosa, e voltatosi dipoi a Pesero ricuperò la terra con la medesima facilitá, e in spazio di pochi giorni la rocca: e seguitando la prosperitá della fortuna, cacciato da Camerino Giovanmaria da Varano antico signore, che per illustrarsi aveva conseguito da Lione il titolo di duca, vi messe dentro Gismondo, giovanetto della medesima famiglia che pretendeva di avere a quello stato migliore ragione: ritenendosi nondimeno la fortezza per il duca, il quale era rifuggito alla Aquila. Espedite queste cose, si voltò con Malatesta e Orazio Baglioni a Perugia; della quale aveano presa la difesa i fiorentini, non tanto per consiglio proprio quanto per volontá del cardinale de’ Medici, mosso o dall’odio e inimicizia che aveva col duca d’Urbino e co’ Baglioni o per parergli che la vicinitá loro potesse mettere in pericolo l’autoritá che aveva in Firenze o perché, aspirando al pontificato, volesse guadagnare la riputazione di essere lui solo difensore, nella vacazione della sedia, dello stato della Chiesa. Perché il collegio de’ cardinali era al tutto senza cura di difendere, o in Lombardia o in Toscana o altrove, parte alcuna del dominio ecclesiastico; parte perché i cardinali erano distratti in diverse fazioni e immerso ciascuno di loro ne’ pensieri di ascendere al pontificato, parte perché nello erario pontificale o in Castello Santo Agnolo non si trovava somma alcuna di danari lasciata da Lione: il quale, per la sua prodigalitá, non solo aveva consumato i danari di Giulio e incredibile quantitá tratti di offici creati nuovamente, con diminuzione di quarantamila ducati di entrata annua della Chiesa, [ma] aveva lasciato debito grande e impegnate tutte le gioie e cose preziose del tesoro pontificale: in modo che argutamente fu detto da qualcuno che gli altri pontificati finivano alla morte de’ pontefici, ma quello di Lione essere per continuarsi piú anni poi. Mandò solamente il collegio a Perugia l’arcivescovo Orsino, perché trattasse di concordare insieme i Baglioni; ma essendo la persona sospetta