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intenzione di ritornarsene alla patria; cosa che molti di loro desideravano, i quali essendo stati in Italia giá tre mesi, e carichi di danari e di preda, volevano condurre salvi alle case loro sé e le ricchezze guadagnate. Ma a fatica partiti da Noara, sopravennono i danari della porzione del re d’Aragona; i quali con tutto che nel principio occupassino, nondimeno, considerando pure quanto fussino ignominiose cosí precipitose deliberazioni, ritornati alquanto a se medesimi, restituirono e questi e quegli, per ricevergli ordinatamente da’ commissari: ridussonsi di poi a Galera, aspettando ventimila altri che di nuovo si dicevano venire; tremila andorno col cardinale sedunense per fermarsi alla custodia di Pavia. Perciò il re, diminuita per tante variazioni la speranza della concordia, partí da Vercelli per andare verso Milano; lasciati a Vercelli col duca di Savoia il bastardo suo fratello, Lautrech e il generale di Milano a seguitare i ragionamenti principiati co’ svizzeri; e lasciata assediata la rocca di Novara, perché alla partita de’ svizzeri aveva ottenuta la cittá: la quale, battuta dalle artiglierie, fra pochi dí si arrendette, con patto che fusse salva la vita e le robe di coloro che la guardavano.

Passò dipoi il re, al quale si arrendé Pavia, il Tesino; e il dí medesimo Gianiacopo da Triulzi si distese con una parte delle genti a San Cristofano propinquo a Milano e poi insino al borgo della porta Ticinese, sperando che la cittá, la quale era certo che, malcontenta delle rapine e delle taglie de’ svizzeri e degli spagnuoli, desiderava di ritornare sotto il dominio de’ franzesi, né aveva dentro soldati, lo ricevesse. Ma era grande nel popolo milanese il timore de’ svizzeri, e verde la memoria di quello che avessino patito l’anno passato, quando per la ritirata de’ svizzeri a Novara si sollevorono in favore del re di Francia; però risoluti, non ostante che desiderassino la vittoria del re, di aspettare l’esito delle cose, mandorono a pregare il Triulzio che non andasse piú innanzi, e il dí seguente mandorono imbasciadori al re, che era a Bufaloro, a supplicarlo che, contento della disposizione del popolo milanese, divotissimo alla sua corona e che era parato a dargli