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libro nono - cap. iii 13

comandamento fu pronunziata da uno dottore suo auditore, in questa sentenza:

— Non crediate, o ribelli vicentini, che le lusinghevoli parole vostre sieno bastanti a cancellare la memoria dei delitti commessi in grandissimo vilipendio del nome di Cesare: alla cui grandezza e alla benignitá con la quale vi aveva ricevuto non avendo rispetto alcuno, comunicato insieme da tutta la cittá di Vicenza il consiglio, chiamaste dentro l’esercito viniziano; il quale avendo con grandissima difficoltá sforzato il borgo, diffidando di potere vincere la cittá, pensava giá di levarsi; chiamastelo contro alla volontá del principe che rappresentava l’imperio di Cesare, costrignestelo a ritirarsi nella fortezza; e pieni di rabbia e di veleno saccheggiaste l’artiglierie e la munizione di Cesare, laceraste i suoi padiglioni, spiegati da lui in tante guerre e gloriosi per tante vittorie. Non feciono queste cose i soldati viniziani ma il popolo di Vicenza, scoprendo sete smisurata del sangue tedesco. Non mancò per la perfidia vostra che l’esercito viniziano, se conosciuta l’occasione avesse seguitato la vittoria, non pigliasse Verona. Né furono questi i consigli o conforti di Fracassa, il quale circonvenuto dalle vostre false calunnie ha giustificata chiaramente la sua innocenza; fu pure la vostra malignitá, fu l’odio che senza cagione avete al nome tedesco. Sono i peccati vostri inescusabili, sono sí grandi che non meritano rimessione; sarebbe non solo di gravissimo danno ma eziandio vituperabile quella clemenza che si usasse con voi, perché si conosce chiaramente che in ogni occasione fareste peggio. Né sono stati errori i vostri ma sceleratezze; né i danni che voi avete ricevuti sono stati per penitenza de’ delitti ma perché contumacemente avete voluto perseverare nella rebellione: e ora chiedete la pietá e la misericordia di Cesare, il quale avete tradito, quando abbandonati da’ viniziani non avete modo alcuno di difendervi. Aveva deliberato il principe di non vi udire: cosí era la mente e la commissione di Cesare; non ha potuto negarlo perché cosí è stata la volontá di Ciamonte; ma non per questo si altererá quella