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non accompagna la fortuna propria. Credersi stoltamente che il re di Francia non s’abbia a tenere offeso quando si vedrá abbandonato in tanti pericoli, quando vedrá non corrispondere gli effetti alla fede che aveva ne’ fiorentini, a quel che indubitatamente si prometteva di loro, a quel che tante volte gli era stato da loro medesimi affermato e predicato. Piú stolto essere credere che, rimanendo vincitori, il pontefice e il re d’Aragona non esercitassino contro a quella republica immoderatamente la vittoria; l’uno per l’odio insaziabile, amendue per la cupiditá di fermare un governo che si reggesse ad arbitrio loro, persuadendosi che la cittá libera arebbe sempre maggiore inclinazione a’ franzesi che a loro: e questo non si vedere egli apertamente, avendo il pontefice, con approvazione del re cattolico, destinato legato all’esercito il cardinale de’ Medici? Dunque: lo stare neutrale non importare altro che volere diventare preda della vittoria di ciascuno; aderendosi a uno di essi, almeno dalla vittoria sua risultarne la sicurtá e la conservazione loro, premio, poiché le cose erano ridotte in tanti pericoli, di grandissimo momento; e se si facesse la pace dovervi avere migliori condizioni. Ed essere superfluo disputare a quale parte si dovessino piú aderire, perché niuno dubiterebbe doversi seguitare piú tosto l’antica amicizia (e dalla quale se la republica non era stata rimunerata o premiata era almeno stata piú volte difesa e conservata) che amicizie nuove, che sarebbono sempre infedeli sempre sospette. Diceva invano il gonfaloniere queste parole, impedendosi il voto suo sopra tutto per l’opposizione di coloro a’ quali era molesto che il re di Francia riconoscesse dalle sue opere l’essergli congiunti i fiorentini. Nelle quali contenzioni, interrompendo l’una parte il parere dell’altra, né si deliberava il dichiararsi né totalmente lo stare neutrali; onde spesso nascevano consigli incerti e deliberazioni repugnanti a se medesime, senza riportarne grazia o merito appresso ad alcuno. Anzi, procedendo con queste incertitudini, mandorono, con dispiacere grande del re di Francia, al re d’Aragona imbasciadore Francesco Guicciardini, quello che scrisse questa