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libro ottavo ‐ cap. xvi 333

e concitati dall’odio che quella nazione ha comunemente grandissimo contro al nome de’ franzesi, lo confortavano alla guerra che la prudenza ed esempio del padre; il quale, non discordante de’ franzesi, ancora che fatto re d’uno regno nuovo e perturbatissimo, aveva con grande obedienza e con grandissima quiete governato e goduto il suo regno. Le quali cose angustiando gravemente l’animo del re di Francia, il quale per essere piú propinquo alle cose d’Italia si era trasferito a Lione, e temendo che il passare suo in Italia, detestato palesemente dal pontefice, non suscitasse per sua opera cose nuove, e dissuadendolo dal medesimo il re d’Aragona, ma dimostrando dissuadernelo come amico e come amatore della quiete comune, non ebbe in queste ambiguitá che lo strignevano da ogni parte piú certo e determinato consiglio che di cercare con ogni studio e diligenza di quietare l’animo del pontefice, talmente che almeno s’assicurasse di non l’avere opposito e inimico: alla qual cosa pareva lo favorisse assai l’occasione, perché si credeva che la morte del cardinale di Roano, la infermitá del quale era sí grave che si poteva sperare poco di lunga vita, avesse a essere causa di levargli quella sospizione per la quale principalmente si pensavano gli uomini essere nate le sue alterazioni. E avendo il re notizia che il cardinale di Aus nipote di Roano e gli altri che trattavano le cose sue nella corte di Roma avevano temerariamente, e con parole e con fatti, atteso piú a esacerbare che a mitigare come sarebbe stato necessario la mente del pontefice, non volendo usare piú l’opera loro, mandò in poste a Roma Alberto Pio conte di Carpi, persona di grande spirito e destrezza; al quale furono date amplissime commissioni, non solo di offerirgli in tutti i casi e desideri suoi le forze e autoritá del re, e usare seco tutti i rispetti e i riguardi che fussino piú secondo la mente e la natura sua, ma oltre a questo di comunicargli sinceramente lo stato di tutte le cose che si trattavano e le richieste fattegli dal re de’ romani, e di rimettere finalmente in arbitrio suo il passare o non passare in Italia, l’aiutare piú lentamente o piú prontamente le cose di Cesare.