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sdegnato che l’Alviano avesse contro alla autoritá sua presunto di combattere, migliore consiglio riputasse che quella parte dell’esercito si salvasse che il tutto per l’altrui temeritá si perdesse. Morirno in questa battaglia pochi uomini d’arme, perché la uccisione grande fu de’ fanti de’ viniziani, de’ quali alcuni affermano esserne stati ammazzati ottomila; altri dicono che ’l numero de’ morti da ogni parte non passò in tutto seimila. Rimase prigione Bartolomeo d’Alviano, il quale con uno occhio e col volto tutto percosso e livido fu menato al padiglione del re; presi venti pezzi d’artiglieria grossa e molta minuta; e il rimanente dell’esercito, non seguitato, si salvò. Questa fu la giornata famosa di Ghiaradadda o, come altri la chiamano, di Vaila, fatta il quartodecimo dí di maggio; per memoria della quale il re fece nel luogo ove si era combattuto edificare una cappella, onorandola col nome di Santa Maria della Vittoria. Ottenuta tanta vittoria, il re, per non corrompere con la negligenza l’occasione acquistata con la virtú e con la fortuna, andò il dí seguente a Caravaggio; ed essendosegli arrenduta subito a patti la terra, batté con l’artiglierie la fortezza, la quale in spazio di uno dí si dette liberamente. Arrendessegli il prossimo dí, non aspettato che l’esercito s’accostasse, la cittá di Bergamo; nella quale lasciate cinquanta lancie e mille fanti per la espugnazione della fortezza, si indirizzò a Brescia; dove, innanzi arrivasse, la fortezza di Bergamo stata battuta uno dí con l’artiglierie si arrendé, con patto che fussino prigioni Marino Giorgio e gli altri ufficiali viniziani: perché il re, non tanto mosso da odio quanto dalla speranza d’averne a trarre quantitá grande di danari, era deliberato di non accettare mai, quando se gli arrendevano le terre, patto alcuno per il quale fussino salvati i gentiluomini viniziani. Ne’ bresciani non era piú quella antica disposizione con la quale avevano, al tempo degli avoli loro, sostenuto nelle guerre di Filippo Maria Visconte gravissimo assedio per conservarsi sotto lo imperio viniziano; ma inclinati a darsi a’ franzesi, parte per il terrore delle armi loro parte per i conforti del conte Giovanfrancesco da Gambara, capo della fazione ghibellina, avevano il dí dopo la rotta occu-