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libro ottavo ‐ cap. i 255

simo spazio di tempo, risulterebbe la totale annullazione di quello imperio, e seguentemente la perdita della propria libertá. Avere la republica veneta, e ne’ tempi de’ padri e ne’ tempi di loro medesimi, sostenuto gravissime guerre co’ príncipi cristiani, e per avere sempre ritenuta la costanza e generositá dell’animo riportatone gloriosissimo fine. Doversi nelle difficoltá presenti, ancorché forse paressino maggiori, sperarne il medesimo successo; perché e la potenza e l’autoritá loro era maggiore, e nelle guerre fatte comunemente da molti príncipi contro a uno solere essere maggiore lo spavento che gli effetti, perché prestamente si raffreddavano gli impeti primi, prestamente cominciando a nascere varietá di pareri indeboliva tra loro la fede; e dovere quel senato confidarsi che, oltre alle provisioni e rimedi che essi farebbono da se medesimi, Dio, giudice giustissimo, non abbandonerebbe una republica nata e nutrita in perpetua libertá, ornamento e splendore di tutta la Europa, né lascerebbe conculcare alla ambizione de’ príncipi, sotto falso colore di preparare la guerra contro agli infedeli, quella cittá la quale, con tanta pietá e con tanta religione, era stata tanti anni la difesa e il propugnacolo di tutta la republica cristiana. Commossono in modo gli animi della maggiore parte le parole di Domenico Trivisano che, come giá qualche anno era stato spesse volte quasi fatale in quello senato, fu, contro al parere di molti senatori grandi di prudenza e di autoritá, seguitato il consiglio peggiore. Però il pontefice, il quale aveva differito insino all’ultimo dí assegnato alla ratificazione il ratificare, ratificò; ma con espressa dichiarazione di non volere fare atto alcuno di inimicizia contro a’ viniziani se non dappoi che il re di Francia avesse dato alla guerra cominciamento.