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inimici, violata la religione, conculcate le cose sacre con minore riverenza e rispetto che le profane.

La cagione di tanti mali, se tu la consideri generalmente, fu come quasi sempre l’ambizione e la cupiditá de’ príncipi: ma considerandola particolarmente, ebbono origine dalla temeritá e dal procedere troppo insolente del senato viniziano, per il quale si rimossono le difficoltá che insino allora avevano tenuto sospesi il re de’ romani e il re di Francia a convenirsi contro a loro; l’uno de’ quali immoderatamente esacerbato condussono in grandissima disperazione, l’altro nel tempo medesimo concitorono in somma indegnazione, o almeno gli dettono facoltá di aprire sotto apparente colore quel che lungamente aveva desiderato. Perché Cesare, stimolato da tanta ignominia e danno ricevuto, e avendo in luogo di acquistare gli stati di altri perduto una parte de’ suoi ereditari, non era per lasciare indietro cosa alcuna per risarcire tanta infamia e tanto danno; la quale disposizione accrebbono di nuovo, dopo la tregua fatta, imprudentemente i viniziani, perché, non si astenendo da provocarlo non meno con le dimostrazioni vane che con gli effetti, riceverono in Vinegia con grandissima pompa e quasi come trionfante l’Alviano: e il re di Francia, ancora che da principio desse speranza di ratificare la tregua fatta, dimostrandosene poi alterato maravigliosamente, si lamentava che i viniziani avessino presunto di nominarlo e includerlo come aderente, e che, avendo proveduto al riposo proprio, avessino lasciato lui nelle molestie della guerra: necessitato, per l’onore e utilitá propria, a difendere contro a Cesare (che da Cologna andava in Fiandra per opprimerlo), il duca di Ghelleri, antico collegato suo e pronto sempre per lui a opporsi a’ fiamminghi e a molestargli, e per la cui autoritá ne’ popoli vicini e per l’opportunitá del suo paese gli era facile il fare passare nella Francia fanti tedeschi, quante volte avesse volontá di soldarne. Le quali disposizioni dell’animo dell’uno e dell’altro incominciorono in breve spazio di tempo a manifestarsi: perché Cesare, delle forze proprie non confidando, né sperando piú che per le ingiurie sue si risentissino i príncipi