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libro settimo ‐ cap. viii 211

secretissimi e lunghissimi ragionamenti, non ammesso a quegli, né onorato se non generalmente, il cardinale di Santa Prassede, legato del pontefice; i quali, per quello che parte allora si comprese parte dappoi si manifestò, furono principalmente: promessa l’uno all’altro di conservarsi insieme in perpetua amicizia e intelligenza, e che Ferdinando si ingegnasse di comporre insieme Cesare e il re di Francia, acciocché tutti uniti procedessino poi contro a’ viniziani. E per mostrare di essere intenti non manco alle cose comuni che alle proprie, ragionorono di riformare lo stato della Chiesa, e a questo effetto convocare uno concilio; in che non procedeva con molta sinceritá Ferdinando ma cercava nutrire il cardinale di Roano, cupidissimo del pontificato, con questa speranza: con le quali arti prese in modo l’animo suo che, forse con non piccolo detrimento delle cose del suo re, si accorse tardi, e dopo molti segni che dimostravano il contrario, quanto fussino in quel principe diverse le parole dalle opere, e quanto fussino occulti i consigli suoi. Parlossi ancora tra loro della causa de’ pisani, trattata tutto l’anno medesimo da’ fiorentini con l’uno e con l’altro. Perché il re di Francia, quando si preparava contro a’ genovesi, essendo sdegnato contro a loro per i favori davano a’ genovesi, e parendogli opportuno alle cose sue che i fiorentini recuperassino quella cittá, aveva data loro speranza, ottenuto che avesse Genova, mandarvi l’esercito, nel quale e in tutta la corte era, per la medesima cagione, convertita in odio la benivolenza antica de’ pisani; ma espedita la impresa di Genova mutò consiglio, per le cagioni che lo indussono a licenziare l’esercito, e per non offendere l’animo del re di Aragona, che affermava che disporrebbe i pisani a ritornare concordemente sotto ’l dominio de’ fiorentini: dalla qual cosa il re di Francia sperava conseguire da’ fiorentini quantitá grande di danari. A questo medesimo, benché per diverse cagioni, si indirizzava l’animo del re di Aragona: al quale sarebbe stato piú grato che i fiorentini non recuperassino Pisa, ma conoscendo non si potere piú conservarla senza spesa e senza difficoltá, e dubitando non la ottenessino per