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libro settimo ‐ cap. vi 193

chiarazione che la cittá di Genova non fusse sottoposta a principe alcuno. Le quali cose eccitando l’animo del re a maggiore indegnazione, ed essendogli significato da’ nobili che in luogo de’ segni suoi aveva posto i segni di Cesare, augumentò le provisioni prima ordinate: commosso ancora piú perché Cesare, stimolato da’ genovesi e forse occultamente dal pontefice, l’avea confortato a non molestare Genova come terra di imperio, offerendo di interporsi col popolo perché si riducessino alle cose che fussino giuste. Nutrirno qualche poco l’audacia del nuovo doge e de’ tribuni i successi prosperi che ebbono nella riviera di levante: perché avendo Ieronimo figliuolo di Gianluigi dal Fiesco con dumila fanti e alcuni cavalli recuperato Rapallo, e andando di notte per prendere Recco, scontrandosi con le genti che vi venivano in soccorso da Genova, si messono, senza combattere, disordinatamente in fuga; la fuga de’ quali venendo agli orecchi di Orlandino nipote di Gianluigi, che con un’altra moltitudine di gente era disceso a Recco, si messe medesimamente in fuga. Onde diventati il doge e i tribuni piú insolenti assaltorno il Castellaccio, fortezza antica ne’ monti sopra Genova edificata da’ signori di Milano quando dominavano quella cittá acciò che, quando fusse necessario, le genti mandate da loro di Lombardia potessino accostarsi a Genova e soccorrere il Castelletto; nel quale essendo piccola guardia lo occuporono facilmente, perché quegli pochi franzesi che vi erano si arrenderono sotto la fede di essere salva la vita e la roba loro: la quale fede fu incontinente violata, gloriandosi quegli che avevano fatto tale eccesso, per segno del quale tornorono in Genova con le mani sanguinose e con allegrezza grande. E nel tempo medesimo cominciorno a battere con l’artiglierie il Castelletto e la chiesa di San Francesco contigua a quello.

Ma era giá passato il re in Italia, e l’esercito si andava continuamente raccogliendo per assaltare Genova senza indugio. E nondimeno i genovesi, abbandonati di ogni sussidio, perché il re cattolico benché desideroso della conservazione loro non voleva separarsi dal re di Francia, anzi l’aveva