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libro sesto ‐ cap. xv 159

investí con grande impeto da piú parti con tutte le forze dello esercito, cioè co’ cavalli leggieri per la via della marina, con le genti d’arme per la strada maestra e con la fanteria dal lato di sopra per il bosco; col quale impeto senza alcuna difficoltá gli ruppe e messe in fuga, salvandosi l’Alviano, non senza fatica con pochissimi cavalli corridori, co’ quali fuggí a Monteritondo in quel di Siena: il resto della sua gente, da San Vincenzio insino in sul fiume della Cecina, quasi tutta fu presa e svaligiata; perdute tutte le bandiere e salvatisi pochissimi cavalli.


XV

Dopo vivi contrasti, a Firenze si delibera di porre il campo a Pisa. Fallimento dell’impresa per la debolezza delle milizie; i fiorentini levano il campo da Pisa.

Questo esito ebbe il movimento di Bartolomeo d’Alviano, stato piú negli occhi degli uomini per le sue lunghe pratiche e per la iattanza delle sue parole piene di ferocia e di minaccie che per forze o fondamento stabile che avesse la impresa sua. Da questa vittoria preso animo Ercole Bentivoglio e Antonio Giacomini, commissario del campo, confortorono con veementi lettere e spessi messi i fiorentini che l’esercito vincitore si accostasse alle mura di Pisa, fatte prima con piú prestezza fusse possibile le provisioni necessarie per espugnarla; sperando che, per trovarsi in molte difficoltá ed essere mancata loro la speranza della venuta dell’Alviano, e come pare che ogni cosa ceda alla riputazione della vittoria, avesse con non molta difficoltá a ottenersi: nella quale speranza gli nutriva molto qualche intelligenza che avevano in Pisa con alcuni. Ma in Firenze, dimandando il magistrato de’ dieci, magistrato proposto alle cose della guerra, consiglio di quello fusse da fare a quegli cittadini co’ quali erano consueti di consultare le faccende importanti, fu dannata unitamente da tutti questa deliberazione; perché presupponevano che ne’