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libro sesto ‐ cap. xii 143

luigi dal Fiesco, accettando la cittá, feceno instanza che ’l re di Francia, senza la volontá del quale non erano liberi di prendere tale deliberazione, lo concedesse; dimostrandogli quanto fusse pericoloso che i pisani, esclusi da questa quasi unica speranza, si dessino a’ re di Spagna, onde con grandissimo suo pregiudicio e Genova starebbe in continua molestia e pericolo, e la Toscana, quasi tutta, sarebbe necessitata a seguitare le parti di Spagna: le quali cagioni benché da principio movessino tanto il re che quasi cedesse alla loro dimanda, nondimeno, essendo dipoi considerato nel suo consiglio che, cominciando i genovesi a implicarsi per se medesimi in guerre e in confederazioni con altri potentati e in cupiditá di accrescere imperio, sarebbe cagione che, alzandosi continuamente co’ pensieri a cose maggiori, aspirerebbono dopo non molto ad assoluta libertá, denegò loro espressamente l’accettare il dominio de’ pisani; ma non vietando, con tutte le querele gravissime co’ fiorentini, che perseverassino di aiutargli.


XII

Il re di Francia, per le difficoltá della conclusione della pace, licenzia gli ambasciatori spagnuoli. Patti conclusi dal re di Francia con Massimiliano e con l’arciduca. Morte di Federigo d’Aragona. Morte di Elisabetta di Castiglia: disposizioni del suo testamento.

Trattavasi in questo tempo medesimo strettamente la pace tra il re di Francia e i re di Spagna; i quali simulatamente proponevano che il regno si restituisse al re Federigo o al duca di Calavria suo figliuolo, a’ quali il re di Francia cedesse le sue ragioni, e che al duca si maritasse la reina vedova nipote di quel re, che era giá stata moglie di Ferdinando giovane d’Aragona. Né era dubbio il re di Francia essere alienato tanto con l’animo dalle cose del regno di Napoli che per sé arebbe accettato qualunque forma di pace, ma nel partito proposto lo ritenevano due difficoltá: l’una, benché piú leggiera,