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piccolissimo frutto, a comparazione di quello che seguitò da poi, molto tempo consumavano; donde i difensori de’ luoghi oppugnati avevano spazio di potere oziosamente fare di dentro ripari e fortificazioni: e nondimeno, per la violenza del salnitro col quale si fa la polvere, datogli il fuoco, volavano con sí orribile tuono e impeto stupendo per l’aria le palle, che questo instrumento faceva, eziandio innanzi che avesse maggiore perfezione, ridicoli tutti gli instrumenti i quali nella oppugnazione delle terre avevano, con tanta fama di Archimede e degli altri inventori, usati gli antichi. Ma i franzesi, fabricando pezzi molto piú espediti né d’altro che di bronzo, i quali chiamavano cannoni, e usando palle di ferro, dove prima di pietra e senza comparazione piú grosse e di peso gravissimo s’usavano, gli conducevano in sulle carrette, tirate non da buoi, come in Italia si costumava, ma da cavalli, con agilitá tale d’uomini e di instrumenti deputati a questo servigio che quasi sempre al pari degli eserciti camminavano, e condotte alle muraglie erano piantate con prestezza incredibile; e interponendosi dall’un colpo all’altro piccolissimo intervallo di tempo, sí spesso e con impeto sí veemente percotevano che quello che prima in Italia fare in molti giorni si soleva, da loro in pochissime ore si faceva: usando ancora questo piú tosto diabolico che umano instrumento non meno alla campagna che a combattere le terre, e co’ medesimi cannoni e con altri pezzi minori, ma fabricati e condotti, secondo la loro proporzione, con la medesima destrezza e celeritá.

Facevano tali artiglierie molto formidabile a tutta Italia l’esercito di Carlo; formidabile, oltre a questo, non per il numero ma per il valore de’ soldati. Perché essendo le genti d’arme quasi tutte di sudditi del re, e non di plebe ma di gentiluomini, i quali non meramente ad arbitrio de’ capitani si mettevano o rimovevano, e pagate non da loro ma da i ministri regi aveano le compagnie non solo i numeri interi ma la gente fiorita e bene in ordine di cavalli e d’armi, non essendo per la povertá impotenti a provedersene, e facendo ciascuno a gara di servire meglio, cosí per lo istinto dell’onore, il quale